IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 4919/2000
proposto   da   Fallica  Giuseppina,  Cacopardo  Sergio,  Finocchiaro
Piergiorgio e Castelli Fulvio, tutti rappresentati e difesi dall'avv.
Rosario Raudino, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Elio
Vitale in Roma, viale Mazzini n. 6;
    Contro il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del
Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello  Stato,  presso  i cui uffici e' per legge domiciliato in Roma,
via dei Portoghesi n. 12; per l'annullamento:
        1)  dell'art.  1 d.m. 29 dicembre 1999, pubblicato nella G.U.
della Repubblica italiana 3 gennaio 2000, n. 1;
        2)   di   ogni   atto  consequenziale  e/o  presupposto,  con
particolare  riferimento  all'art.  36,  comma 1 d.lgs. 9 luglio 1947
n. 241;
    Visto 11 ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto per motivo aggiunto, notificato il 23 maggio 2000;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio dell'amministrazione
intimata;
    Visto l'intervento ad adiuvandum proposto dall'avv. Michele Fiore
rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Rosario Raudino ed elettivamente
domiciliato  presso  lo  studio  dell'avv. Elio Vitale in Roma, Viale
Mazzini n. 6;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Relatore,  per  la  pubblica  udienza del 24 marzo 2004, il cons.
Giuseppe Sapone;
    Udito,   altresi,   l'avv.   R.   Raudino   per  i  ricorrenti  e
l'interveniente ad adiuvandum;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

                              F a t t o

    I  ricorrenti,  tutti  avvocati tributaristi iscritti alla Camera
tributaria  di  Catania  nonche'  all'Albo  dei  revisori  contabili,
svolgono,   quale   professione  abituale,  attivita'  di  consulenza
tributaria,  in cio' intendendosi ricompreso l'incarico, per conto di
ditte  clienti,  di  tenuta delle contabilita', redazione dei bilanci
annuali  e  presentazione  delle  denunce dei redditi, ai sensi della
vigente normativa fiscale.
    Lamentano  gli  istanti di essere stati aprioristicamente esclusi
dal  novero  dei  soggetti  abilitati a rilasciare la «certificazione
tributaria»   e   sollevano,   percio',   questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 36,  comma  primo del decreto legislativo 9
luglio 1997, n. 241, sostenendo l'illegittimita' derivata del d.m. 29
dicembre 1999 che, all'art. 1, si richiama a tale testo normativo per
definire la categoria dei certificatori.
    Questi, i rilievi prospettati:
        1) Illegittimita' derivata: violazione, da parte dell'art. 36
d.lgs. n. 241/1997 dei principi - delega di cui all'art. 3, comma 134
- lett. d, n. 4 e 136 legge 23 dicembre 1996, n. 662.
    Premesso  che  l'art. 1 del d.m. 29 dicembre 1999, nel definire i
«certificatori  tributari»,  fa pedissequo riferimento alla normativa
del  c.d.  regolamento  governativo contenuto nell'art. 36 del d.lgs.
n. 241  del  1997, si assume che proprio questa norma viola la delega
legislativa,  quantomeno  sotto  il  profilo  dell'eccesso di delega,
nella  misura  in  cui  restringe, non solo e non tanto, l'ambito dei
soggetti  abilitati  ad  emettere la certificazione ai professionisti
iscritti  all'Albo  dei  revisori  con  una determinata anzianita' di
iscrizione;  ma  soprattutto  limita  ulteriormente il novero di tali
soggetti  agli  iscritti  negli  albi dei dottori commercialisti, dei
ragionieri e periti commerciali e dei consulenti del lavoro.
    Cio',    in   presenza   unicamente   della   previsione,   nella
legge-delega,   di   «strutture   intermedie   tra   contribuente   e
amministrazione  finanziaria»,  nonche'  di  un  «nuovo sistema della
disciplina  degli  adempimenti demandati ai predetti soggetti e delle
relative responsabilita».
        2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 d.m. 29 dicembre
1999  e  dell'art.  36, comma 1 d.lgs. n. 241/1997, per contrasto con
gli artt. 10, 33, 35 e 76 della Costituzione.
    Ad  avviso degli istanti, le norme impugnate confliggerebbero con
i  principi  costituzionali,  sotto  svariati  profili,  a  causa del
mancato   adeguamento   alla   normativa  internazionale  in  materia
(art. 10),  del  diseguale  riconoscimento dei titoli di abilitazione
professionale  (art. 33,  comma 5), della mancanza di adeguata tutela
del  lavoro  e  della  dignita' dei professionisti legali (art. 35) e
della   violazione   del  limite  della  c.d.  «funzione  legislativa
delegata» (art. 76).
        3)  Contrasto  con  la  normativa  comunitaria sui criteri di
esercizio  della  libera professione, in ambito legale, contabile, di
controllo e revisione dei conti.
    In  via  ulteriormente gradata, si chiede il rinvio degli atti di
giudizio  all'esame  della  Corte di Giustizia Europea, per contrasto
delle  disposizioni  opposte con il complesso delle direttive europee
nella materia in questione.
    Conclusivamente   gli   esponenti   chiedono  l'accoglimento  del
gravame,  con  vittoria  di  spese  e compensi e con salvezza di ogni
ulteriore azione di risarcimento.
    Con  un  motivo  aggiunto,  notificato  il  23  maggio  2000, gli
interessati  hanno fatto riferimento ai contributi interpretativi nel
frattempo  intervenuti  sulla  materia de qua, ribadendo l'attualita'
della questione dedotta in lite e la necessita' di sospendere, in via
cautelare, l'efficacia del d.m. 29 dicembre 1999.
    E'  intervenuto  in  giudizio  associandosi  alle  richieste  dei
ricorrenti l'avv. Michele Fiore.
    Il  Ministero  intimato costituitosi in giudizio, ha concluso per
la reiezione del ricorso.
    La  Sezione  con  ordinanza  del  6  giugno  2001 ha sollevato la
questione  di  legittimita'  costituzionale  del  menzionato art. 36,
comma  1,  del d.lgs. n. 241 del 1997, nella parte in cui il medesimo
attribuisce  solo  a  determinate  categorie  di  professionisti, ivi
indicate,   le   legittimazione   ad   effettuare  la  certificazione
tributaria  per  contrasto  con  gli  articolo  3,  35, 76 e 97 della
Costituzione.
    Peraltro,  la  Corte  costituzionale, con ordinanza n. 499 del 28
novembre  2002, ha ritenuto manifestamente inammissibile la sollevata
questione   di   legittimita'   costituzionale,   mancando  qualsiasi
specifico  riferimento  ai profili di rilevanza della questione nella
concreta fattispecie all'esame.
    I  ricorrenti,  con  atto di riassunzione, hanno insistito per la
nuova   rimessione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale  con  le
indicazioni da queste inchieste.
    La  Sezione  con sentenza n. 1040 del 5 febbraio 2004 ha ordinato
agli  attuali  istanti  di depositare in giudizio una dichiarazione -
resa  sotto  la  propria responsabilita' - da cui risulti che ciascun
ricorrente   «e'  avvocato  tributarista  iscritto  al  registro  dei
revisori  contabili, esercita la professione di revisore contabile da
almeno cinque anni e detiene presso di se' le scritture contabili dei
propri clienti».
    Tale incombente istruttorio e' stato regolarmente assolto.
    Alla  pubblica  udienza  del  24  marzo  2004 il ricorso e' stato
nuovamente assunto in decisione.

                            D i r i t t o

    L'odierno  gravame  e'  volto  all'annullamento  del  decreto del
Ministro  delle  finanze  29  dicembre 1999, recante «Disposizioni in
materia  di  certificazione  tributaria»  (in  G.U.  R.I.  n. 1 del 3
gennaio  2000),  nella  parte  in  cui  (art. 1)  tale  normativa  di
attuazione   individua   i  soggetti  «certificatori»,  rinviando  al
disposto  dell'art. 36, comma 1 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241 (nel
testo  vigente,  quale  risulta dall'introduzione del Capo V, con gli
articoli da 32 a 36, operata dall'art. 1 del d.lgs. 28 dicembre 1998,
n. 490).
    Con i primi due motivi di doglianza, gli istanti sollevano, nella
sostanza,  un'unica  eccezione  di  incostituzionalita':  quella  che
concerne  l'art. 36,  comma  1 del decreto legislativo 9 luglio 1997,
n. 241, facendone discendere, in via derivata, l'illegittimita' della
prescrizione attuativa, direttamente e prioritariamente impugnata; e,
soltanto  in via estremamente gradata, chiedono la trasmissione degli
atti  alla  Corte  di  Giustizia  Europea, per l'esame dell'eventuale
contrasto  delle  censurate  disposizioni  nazionali con il complesso
delle direttive comunitarie nella materia, di cui hanno fatto riserva
di  fornire,  in  corso  di  giudizio,  piu'  specifici e dettagliati
esempi.
    Recita  testualmente  il  predetto  art. 36, comma 1: «I revisori
contabili   iscritti  negli  albi  dei  dottori  commercialisti,  dei
ragionieri e periti commerciali e dei consulenti del lavoro che hanno
esercitato  la professione per almeno cinque anni possono effettuare,
ai  soli  fini  fiscali,  la  certificazione  di  cui  al comma 2 nei
riguardi  dei contribuenti titolari di redditi d'impresa in regime di
contabilita' ordinaria, anche per opzione, sempreche' hanno tenuto le
scritture  contabili  dei  contribuenti  stessi nel corso del periodo
d'imposta cui si riferisce la certificazione».
    Si  dolgono,  al riguardo, gli intimanti della circostanza che la
legittimazione  ad  effettuare la certificazione tributaria sia stata
attribuita,  in  via  esclusiva,  soltanto a determinate categorie di
professionisti, vale a dire ai revisori contabili iscritti dal almeno
cinque  anni  negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e
periti  commerciali e dei consulenti del lavoro, e non anche ad altri
soggetti  che,  come  i  ricorrenti, sono del pari «professionisti» -
anche  se  non sembrerebbe considerarli tali l'art. 1, lettera e) del
d.m.  31  maggio 1999, n. 164 - in quanto appartengono alla categoria
degli  avvocati  tributaristi,  sono  iscritti  all'albo dei revisori
contabili e svolgono abitualmente attivita' di consulenza tributaria,
con  tenuta  della  contabilita',  redazione  dei  bilanci  annuali e
presentazione delle denunce dei redditi.
    In  proposito, il Collegio, premesso che deve essere rigettata la
subordinata  richiesta  di  invio  degli atti alla Corte di Giustizia
Europea,  in  quanto  tale  domanda  e'  stata  avanzata  con  scarsa
consistenza   e   senza  alcun  preciso  riferimento  alle  direttive
comunitarie di interesse, con le quali, ad avviso degli esponenti, si
porrebbe  in  contrasto  la  legislazione  italiana che disciplina la
materia   in  argomento,  ritiene,  che  la  formulata  questione  di
costituzionalita' sia rilevante ai fini del presente giudizio, atteso
che:
        1)  come  richiesto  dalla Corte costituzionale con ordinanza
n. 499  del  28  novembre  2002, pronunciata nell'ambito del giudizio
promosso  con ordinanza del 6 giugno 2001 di questa Sezione, ciascuno
degli  odierni  ricorrenti ha affermato - depositando in giudizio una
dichiarazione  resa  sotto  la propria personale responsabilita' - di
essere  avvocato  tributarista  iscritto  al  registro  dei  revisori
contabili,  di  esercitare  la  professione  di revisore contabile da
almeno cinque anni e di detenere presso di se' le scritture contabili
dei propri clienti;
        2) l'accoglimento dell'eccezione di incostituzionalita' della
censurata   norma  delegata,  rifluirebbe  sulla  legittimita'  della
disciplina  regolamentare  impugnata  in  via  prioritaria, che detta
disposizioni di attuazione in materia di certificazione tributaria.
    Circa,  poi, la necessaria valutazione che il giudice e' chiamato
a  compiere  anche  in  ordine  alla non manifesta infondatezza della
sollevata  eccezione, il Collegio e' dell'avviso che nessuna utilita'
possa  derivare,  allo  stato,  dalla  considerazione  del  parametro
costituzionale  di  cui  all'invocato  art. 10  Cost., avuto riguardo
all'estrema genericita' del prospettato rilievo correlato ad una, non
meglio precisata, normativa internazionale in materia.
    Del  pari  inconferente  appare il richiamo dell'art. 33, comma 5
Cost.,  ove  si' consideri che il legislatore delegato non ha affatto
inteso  esprimere  un  giudizio  di valore su titoli professionali di
diversa natura, ma soltanto individuare dei qualificati soggetti che,
sulla  base  di specifiche competenze professionali, si presentassero
in   grado   di  svolgere  adeguatamente  la  funzione  di  controllo
finalizzata al rilascio della certificazione tributaria, prevista dal
secondo   comma   dell'art. 36   d.lgs.   n. 241/1997   e  successive
integrazioni,   dopo   aver   emesso   il   visto  di  conformita'  e
l'asseverazione, contemplati dal precedente art. 35, rispettivamente,
alle lettere a) e b) del primo comma.
    Sembra,  invece,  da  condividere  il  rilievo  consistente nella
violazione  dell'art. 35  Cost.,  dal  momento  che  l'attribuzione a
determinate  categorie  di  soggetti,  legittimati  a  rilasciare  la
certificazione,    anche    della   tenuta   della   contabilita'   e
dell'effettuazione  della  dichiarazione  dei redditi, opera di fatto
una  sorta di riserva monopolizzatrice di tali attivita' da parte dei
soggetti  certificatori,  mentre gli adempimenti relativi alla tenuta
della  contabilita'  devono ritenersi del tutto liberi, in quanto non
richiedono specifici requisiti professionali.
    Se  cosi'  e',  non sussistendo ragioni di interesse generale che
giustifichino  la  sostanziale  sottrazione  di una certa attivita' a
soggetti che legittimamente la potrebbero esercitare, appare evidente
come  la  norma  in  esame  operi  un'ingiustificata limitazione alla
scelta  lavorativa  ed al libero svolgimento di attivita' lavorative,
con  la  conseguente violazione dell'indicato valore fondamentale del
diritto al lavoro costituzionalmente garantito.
    Non  si rivela, del pari, manifestamente infondata l'eccezione di
incostituzionalita' della norma, formulata con riferimento al preteso
superamento  del  limite  della c.d. «funzione legislativa delegata»,
sancito dall'art. 76 della Carta costituzionale e, quindi, al dedotto
vizio consistente nell'eccesso di delega legislativa.
    Al  riguardo, deve osservarsi che l'art. 3, comma 134 della legge
23  dicembre  1996  delegava il Governo ad emanare uno o piu' decreti
legislativi   contenenti   disposizioni   volte  a  semplificare  gli
adempimenti  dei  contribuenti, a modernizzare il sistema di gestione
delle  dichiarazioni  ed  a  riorganizzare  il  lavoro  degli  uffici
finanziari,   in  modo  da  assicurare  la  gestione  unitaria  delle
posizioni  dei  singoli  contribuenti,  secondo  principi  e  criteri
direttivi in esso indicati.
    Ai  fini  che  qui  interessano, il criterio direttivo che assume
rilievo  e'  quello  indicato alla lettera d) del comma 134, il quale
concerne  le  modalita'  di  presentazione  delle dichiarazioni e dei
relativi  allegati,  da parte dei soggetti obbligati, con particolare
riguardo alla «utilizzazione di strutture intermedie tra contribuente
ed  amministrazione  finanziaria»,  nonche' all'adeguamento «al nuovo
sistema  della  disciplina  degli  adempimenti  demandati ai predetti
soggetti e delle relative responsabilita».
    Nell'ambito  di  tale  delega il legislatore era tenuto a dettare
disposizioni   riguardanti   le   modalita'  di  presentazione  delle
dichiarazioni  e,  quindi,  ad  attenersi  ad  aspetti  formali delle
stesse, anche mediante l'individuazione di «strutture intermedie» che
consentissero  una  sempre  maggiore  semplificazione delle modalita'
stesse di presentazione, al fine di agevolare gli uffici finanziari.
    Appare, pertanto, evidente che tale delega, basata su un criterio
dotato  di  notevole  flessibilita',  non  consentiva  al legislatore
delegato  di  affidare  il  compito  di  effettuare la certificazione
tributaria, ad una ristretta categoria di revisori contabili iscritti
negli  albi  dei  dottori  commercialisti,  dei  ragionieri  e periti
commerciali  e  periti  commerciali  e dei consulenti del lavoro, che
avessero esercitato la professione per almeno cinque anni, escludendo
dal novero dei soggetti abilitati tutti gli altri professionisti che,
parimenti,   offrissero   garanzie   di   esperienza   e  di  provata
professionalita'.
    Poiche'   il   tenore   della   delega   lasciava   ampio  spazio
all'individuazione   dei   soggetti  intermedi  fra  contribuenti  ed
amministrazione finanziaria, non sembrano consentite - anche sotto il
profilo   del   principio   perequativo,  sancito  dall'art. 3  della
Costituzione,   nonche'   di   quelli  di  razionalita'  e  di  buona
amministrazione    garantiti    dall'art. 97   del   medesimo   testo
fondamentale  -  l'ingiustificata  esclusione dei ricorrenti avvocati
tributaristi,  che in atto svolgono attivita' di supporto del sistema
fiscale,  occupandosi  anche  della tenuta della contabilita' e della
presentazione   delle   denunce   dei   redditi,   e   l'attribuzione
dell'incarico  di  rilasciare  la  certificazione tributaria al solo,
limitato   ambito   dei   destinatari  della  censurata  disposizione
legislativa delegata.
    Considerata  la  natura di detto adempimento, che si sostanzia in
un  controllo  sull'operato  del  contribuente da parte, peraltro, di
soggetti  che  hanno  tenuto  la  contabilita', non e' dato rinvenire
nella norma di delega un criterio direttivo che abilitasse il Governo
a  prevedere l'affidamento a determinate categorie di professionisti,
con esclusione di altre parimenti adeguate, del compito di effettuare
controlli di natura diversa da quelli meramente formali ed automatici
relativi alle modalita' di presentazione delle dichiarazioni.
    Il  Collegio,  pertanto,  formulando  d'ufficio  la  questione di
incostituzionalita'   della   norma,  in  relazione  ai  profili  non
evidenziati  dagli istanti (artt. 3 e 97 Cost.), sospende il giudizio
fino  alla  pronuncia  della  Corte  costituzionale sulla prospettata
illegittimita' della norma all'esame.